[Racconto breve]
La piccola Mary Jane racoglieva petali di rosa nel prato spazzato dal vento, non era mai stata ad un matrimonio e si stupiì di come i suoi genitori cambiassero davanti alle altre persone. Avrebbe sempre voluto a casa degli ospiti, anche uno solo, sarebbe bastato per fermare i loro litigi.
Zia Aurora era bella, sorrideva, si sentiva protetta in quel suo grande abito bianco, finché l'avrebbe indossato nessuno l'avrebbe toccata, nessuno le avrebbe fatto sbavare il trucco di lacrime, mettendo a nudo le profonde occhiaie, compagne di sempre nelle notti di pianto, quando zio Max non era a casa e suo padre andava segretamente a trovarla, vederla per un caffé, per fare due chiacchiere, per mostrarle il suo affetto, forse troppo per essere scaricato su quel tavolo della cucina o contro il muro del salotto, mentre gli occhi della moglie del vedovo li guardavano da quella foto sopra il camino.
Il sole andava e veniva mentre le nuvole deridevano la sua grandezza, nascondendolo al monso. L'interno della vecchia chiesa di campagna non aveva molte finestre ed in certi momenti, quando le nubi erano abbastanza spesse da cancellare la luce, tutto diventava scuro e uno schiaffo d'inquietudine atterriva gli animi, uccidendo le voci dei presenti, in attesa dell'entrata della sposa. Cadde sul terreno, improvvisa, una corrente d'aria freda, sottile, sostituendo la brezza fresca di fine estate, facendosi gioco di quegli sporadici raggi di sole, incapaci di consolare, stringere nel loro tepore i volti degli invitati rimasti all'esterno delle mura cristiane.
Quando Aurora varcò la soglia la sua mente smise di lavorare, il sorriso sulle labbra le si era fissato come catturato in una fotografia, le fossette nelle guange, in ombra, si colorirono con il bombardamento di flach, stava per vincere la sua guerra. Camminò come non mai avesse camminato: con la grazia d'una dama settecentesca e la sensualità delle danzatrici indiane, era il suo attimo e Max, all'altare, la amava come si ama al bacio del primo appuntamento, quando i sensi si assopiscono e nulla conta di più di quel momento, infinito. Si presero per mano, stringendole, con la paura di potersi perdere nell'eternità di quegl'istanti, l'uno aggrappato alla vita dell'altra, stavano passeggiando alle porte del paradiso, mentre un silenzio di pace assordava le loro orecchie.
Fecero quello che dovevano fare, il rituale ereditato da centinaia d'anni di letti caldi, sorrisi, baci e poesie non deluse la loro personale primavera che sbocciava ora come una rosa nella rugiada del mattino, alla prima carezza di luce. Tutto era perfetto, ogni cosa viaggiava a quella velocità costante che accompagna le notti di viaggio in autostrade di pace, nessuno avrebbe mai potuto fermare quei secondi, nessuno sarebbe riuscito a distrarli da quella felicità apparentemente senza precisa meta, ma dietro il nessuno, a volte, si nasconde qualcuno, qualcosa, un volto, una parola.
La detonazione fece tremare le vetrate del loro tempio, il sordo, secco rumore dei corpi che cadono destò tutti dal sogno.
Aurora e max erano a terra, il rosso porpora li unì, per sempre, il bagno in quell'oceano nascosto di cui, spesso, non si parla, li coronò nella loro nuova, eterna dimora. Mancava un colpo, l'ultimo atto, così con la canna sul palato si tuffò anche lui, ma in un mare nero, senza vita, senza suoni, ora era lontano, il nonno era lontano.
Mary Jane non capì perché piangesse, non capì perché urlasse, non capì mai, non finché dopo anni di domande e lacrime scelse d'aprire la lettera della verità, il suo Vaso di Pandora, la voglia di scappare. Era lontana, era lontana anche lei ora, mentre la sua mano lasciava andare a fondo il coltello in quelle acque scure, profonde.
È nell'eterno, ora, anche lei.
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