giovedì 26 novembre 2009

Aracnofobia

[racconto breve. il finale non convince, come al solito]


Le particelle del suo corpo presero a vibrare mentre l'adrenalina iniziava a scorrergli dentro. Dall'angolo della via i bulbi neri volarono a mezz'aria andando a schiantarsi sul muro opposto. Ricaddero a terra, il fumo iniziò a nascere dal terreno e i preparativi per la guerra si conclusero.
Il freddo gli entrava nelle ossa. I muscoli si muovevano, al ritmo delle urla che lo circondavano, in preda agli spasmi. Cappuccio, felpa, sciarpa e jeans impregnati del sudore partorito nelle ore precedenti. Correre. Nascondersi. Uscire e lanciare, colpire. Correre ancora. Correre. Il boato arrivò, cupo come la notte.
Dalla nube uscì il primo manganello alzato. Scudi, caschi, divise. L'esercito dell'imperatore era partito alla carica, la pesante pioggia non tardò a bagnarlo. I sassi. I tubi. La ferraglia trovata. Ogni oggetto classificabile come contundente stava disegnando mezze circonferenze nell'aria. Foto da prima pagina. Qualche divisa a terra. Un paio di bombe incendiarie abbracciarono il nemico, spettacolo pirotecnico non da poco, niente superpoteri per la Torcia Umana. Svuotò lo zaino colmo di sassi sui servitori e salutò la sua bottiglia vuota regalandole l'ebbrezza dell'ultimo ed unico volo della sua storia. Un paio di divise blu gustarono gocce d'alcol da pochi soldi prima di porgere il capo al suolo.
Vicini. Trenta. Venti. Quindici. Dieci metri. Si voltò e ricominciò a correre, le grida d'insulti si stavano ora spegnendo per lo sforzo centometrista del gruppo. Il sapore d'amaro gli impregnò il palato mentre le sue scarpe pestavano l'asfalto. Il vento in faccia. Gli occhi semichiusi. Lacrime, per lo scontro con il vagone d'aria, ghiacciarono ai lati delle occhiaie. Troppo lavoro e salari inesistenti regalano certi lussi. Il gruppo svoltò. Vicolo interno, stretto, come i tanti della vecchia città, trincea del giorno. Vie ramificate su tutti i lati. Un albero spoglio nel pieno del loro inverno di fuoco. Una ragnatela infinita, cristallizzata dal gelo, tenuta insieme dal timore. Il ragno nella tana. La notte all'orizzonte ed il sole che andava verso la morte mentre l'aria passava al filtro delle gole. Le parole del gruppo venivano assorbite dalle mura, ed i primi corpi cominciarono a tremare. Tornarono a camminare. Stendardi al vento. Cuori e gambe stanche. Il fondo del gruppo era cieco, non vide il velo nero coprire i loro corpi, non poté rendersi conto del mentre, il dietrofront fu comunque inutile.
Il colpo lo sbilanciò, la gamba cedette, non sapeva come si chiamasse quell'osso ma ebbe la certezza che nessun dottore glielo avrebbe più riferito. Pensò piuttosto a quella nuova trovata del Centrale, i servi apprezzarono fin troppo l'idea, quei pochi che dissentirono assaggiarono il gusto del metallo fra i denti. Così gli dissero alle difficili riunioni da scantinato. Calcinacci che volano. Urla che si spazzano. Corpi che cadono. Infine il nulla. Niente sirene, niente gracchio di radio. Neve scura iniziò a scendere.
Il giornalista parla. Sorride. Il volto da checca incravattata sfoggia sorrisi, baci di Giuda. Il giornalista non ha mai iniziato a vivere. Sono stati raccolti i corpi dei ribelli, dice. Congelati, tagliati, archiviati, dice. Spediti ai laboratori del nord, dice. Le voci non risponderanno a quei volti, non risponderanno ai padroni. Le voci sono inutili, spente, mute. Solo le mura sapranno le verità. Le mura parleranno, parleranno per le voci. Respirare vernice causa cancro.
"Uccidete i corpi vivranno le idee".

3 commenti:

  1. ..
    segno del mio passaggio
    mi è molto confuso questo racconto
    posso immedesimarmi ma a spezzoni
    forse è la mia concentrazione che vacilla a mezzanotte e quarantacinque..
    hai sempre dei bellissimi spunti

    notte

    RispondiElimina
  2. Decostruzione del caos.
    Splendido. Anche il finale.

    7

    RispondiElimina
  3. Una bella dose di inquietudine, complimenti.

    RispondiElimina